" Tutto quello che faccio e penso non é che specimen del mio possibile. L'uomo é piu' generale che la sua vita ed i suoi atti. Esso é come previsto per piu' d'eventualità che ne potrà mai conoscere ".

Riflettendo sul significato profondo di questo pensiero di Paul Valery, che ho incontrato per caso durante le mie incursioni nel mondo della letteratura, mi sono accorto che esso mi portava insensibilmente, attraverso una successione di associazioni di idee, a Porcili, a quest'estate. Una esperienza vissuta mi permetteva di trarre da questa riflessione astratta, un'immagine che me ne rendeva tutta la sua significazione.

Questo racconto, che non ha velleità filosofiche, ne psychologiche, esprime il desiderio di testimoniare di un'avventura interiore le cui protagoniste sono delle impercettibili vibrazioni dell'animo.

L'estate che porta con sé i noti fenomeni di migrazioni collettive, ci trascina, noi, verso il paese natio.
Le vacanze estive oltre a permetterci un ritorno in famiglia, con conseguenti effusioni di sentimenti, ci invitano, nel profondo di noi stessi, ad un ritorno verso le origini della nostra propria identità.

Ogni anno ci rechiamo dunque verso l'appuntamento con una delle possibilità nascoste del nostro essere, quella a cui i nostri avi hanno rinunciato per permetterci di essere quelli che siamo, possibilità che non é stata del tutto cancellata col trascorrere delle generazioni e che rivive a partire dal sentiero che si inoltra verso Porcili.

Dopo S. Anna, oltrepassato il boschetto del ristorante locale, ritrovo bucolico-mondano di tutti i dottori e commendatori della regione, ci si inoltra lungo una strada che, malgrado l'asfalto, conserva l'aspetto di un sentiero. A partire da qui si ha l'impressione di penetrare in un mondo diverso, mondo nel quale la dimensione del tempo avrebbe mutato. Ci ci trova in presenza di una melodia, poco piu' di una respirazione, e si percepisce che lo scandire degli attimi non possiede piu' la cadenza abituale.

Il fascino, il sortilegio di questi luoghi proviene dal ritmo particolare del suo tempo. Questo, é tutto ad un tratto percettibile, lo si vede respirare regolarmente, scandire la sua fuga monotona, remota.

L'immanenza del luogo é scolpita, materializzata nell'espressione del viso dei suoi rari abitanti, i pochi superstiti che non hanno rigettato l'asservimento a questo ritmo immutabile.

E non si parte indenni dopo un sogiorno a Porcili, qualcosa si rompe all'interno del nostro meccanismo ben rodato dalla vita cittadina, la volontà si affievolisce, un sentimento confuso di fatalità ci invade perniciosamente, non siamo piu' gli stessi.

Insensibilmente assistiamo alla nostra propria metamorfosi, fenomeno di dipendenza al filtro che l'atmosfera distilla.

Quando a Nizza, Philippe mi chiese di condurlo con noi, mi parve naturale di acconsentire.
Sovente avevo parlato al moi amico dei miei soggiorni a Porcili e certamente le parole di cui mi servii tradussero l'affezzione profonda che portavo verso questo luogo che dovetti certamente avvolgere nella foschia della nostalgia e del mistero. Alchimia misteriosa delle parole che volendo descrivere un oggetto o un luogo finiscono per tradurre il sentimento che questo ci procura.

Le parole di cui mi servii per descrivere Porcili avevano suscitato in Philippe un grande desiderio di soggiornarci, esse si erano fissate nel suo spirito e vi avevano rivestito la forma delle sue proprie aspirazioni e delle sue immaginazioni.

Partimmo dunque da Nizza e leggevo sul viso del mio amico un'eccitazione insolita, pareva partire per un'avventura esaltante.

Quando arrivammo a Porcili, con grande disappunto mi accorsi che il suo viso esprimeva una grande delusione, capii improvvisamente che le immagini che le mie parole avevano suscitate in lui non corrispondevano a quello che il paesaggio gli offriva.

Il suo fantasticare sulla montagna, che aveva scorta una sola volta durante un breve soggiorno in Germania, si accomodava male a questo luogo in disuso, assolutamente al di fuori di tutta immaginazione cittadina. Alla fiera montagna austriaca che aveva influenzato la sua immaginazione, si sostituiva questo villaggio umile, nel quale fluttuava una dolce umidità ; non ritrovava neppure il clima vivace e secco su cui aveva sperato. La prima sera fu colto da reumatismi alle articolazioni ; il suo viso era patetico di delusione.

Venendo a Porcili Philippe aveva sperato incontrare il mondo chimerico che la sua immaginazione aveva elaborato, io la speranza di farlo condividere il mio mondo dell'infanzia, eravamo ambedue delusi. Avevamo viaggiato sullo stesso treno verso una meta diversa.

Philippe fu accolto come si riceve una curiosità. Una specie di ostilità dissimulata fluttuava nell'atmosfera della nostra prima serata a Porcili, le nostre abituali effusioni ne erano alterate, il suo sguardo ci riteneva.

Scorgemmo reciprocamente due esseri virtuali composti di tutto un passato ereditato geneticamente e che si sostituiva all'archetipo nizzardo al quale ci eravamo fino ad oggi ambedue identificati. La differenza di origini che non avevamo fin'ora mai risentita, si materializzo', ci paralizzo' mutualmente, per un breve istante, come un movimento repentino e fugace, un vacillamento di sedimenti antichi, una vibrazione in un cantuccio oscuro.

Una porta si schiuse lasciando intravvedere una particolarità insospettata, lo scorcio di un paesaggio privato sul quale, con pudore, tirammo vivacemente, d'un comune accordo, il sipario rassicurante delle nostre comuni generalità.

Nei giorni che seguirono ci installammo confortevolmente nel clima spensierato delle vacanze estive ed il breve istante di disagio fu rapidamente scancellato e Philippe seppe inserirsi discretamente, con una certa sensibilità innata, nelle abitudini familiari, nei costumi del luogo.

Per occupare le nostre giornate e sopratutto per condurre Philippe nel cuore dell'atmosfera che ci avvolgeva, decisi di condurlo verso le borgate abbandonate e nascoste nel folto dei castagneti che ci circondavano.

Avevo capito che il mio amico non era impermeabile e che la sostanza che fluttuava nell'atmosfera di Porcili incominciava ad insinuarsi nel suo animo, che insensibilmente si impregnava di questa identità immateriale. Quello che gli era apparso squallore e mediocrità stava rivestendo ai suoi occhi l'attrazione del mistero.

Ci aggiravamo per delle giornate intere senza incontrare anima viva. Condussi Philippe ai Frere, villaggio abbandonato che da sempre esercita sul mio incosciente un'attrazione inspiegabile.

La strada si inerpica senza interruzione nel folto dei bosci, dei fruscii appena percettibili ci indicano la presenza di una vita invisibile e furtiva, leggeri fremiti nel silenzio immenso.

Profondi solchi di terra sono stati smossi recentemente dal passaggio di un ordigno devastatore, degli alberi secolari sono stati cosi' trascinati fino alla sorgente della nostra borgata dove, ammassati lungo il " bial ", finiscono di esalare il loro ultimo sospiro, e la loro sostanza ancora vibrante di linfa fresca si spande nell'atmosfera conferendo ai nostri sensi olfattivi una dolorosa acuità. Come se l'essenza stessa del luogo ci fosse stata distribuita in eccesso, uno sperpero che quasi ci inebria.

Ai Frere ci aggiriamo fra le case abbandonate invase dalle ortiche e dai rovi, ed ogni particolare ci rivela la presenza di una vita anteriore, la traccia di una fuga disperata.

Usci spalancati ci invitano nell'intimità dei loro antri oscuri, e dappertutto l'onnipresenza del tempo é palpabile, densa. Questo villaggio é diventato la sua ultima forterezza, il suo covo dove si é rifugiato. E capisco che veniamo quassu' per poterlo afferrare un istante, osservarlo come una curiosità, respirare il suo sentore fatto di polvere lentamente accumulata, di ragnatele pazientemente tessute, di fotografie lentamente ingiallite.

Sento che Philippe precipita insensibilmente nella mia storia. Seguendo insieme le tracce del lontano andare dei miei avi, cercando insieme il significato delle loro migrazioni, forse in queste contrade cosi' lontane dalla sua Cina natia (si', ho dimenticato di dirvi che Philippe é d'origine cinese) ha rintracciato il filo conduttore della sua propria storia.

All'origine di tutte le migrazioni c'é certamente il disperato desiderio di fuggire la fatalità di un tempo immutabile e tiranno, il desiderio di fuggire le lenti successioni delle stagioni, ed il monotono ripetersi dell'unico ruolo della sua vita. I nostri avi hanno cercato altrove la realizzazione delle altre possibilità che il loro essere conteneva.